Ombre sospese
Primavera 2020: giorni davvero stranianti, questi che stiamo vivendo, separati dalle nostre vite quotidiane e dal rapporto sociale. Ci si trova ad osservare il mondo come dietro una lastra. Per quanto dolorosa, è una metafora perfetta dello stare al di qua delle lenti fotografiche: scatto le mie immagini dalla terrazza di casa perché la visuale che offre incontra il mio stato d’animo, quello della sospensione. Le poche persone che vedo passare mi sembrano quasi degli automi, obbligati a svolgere i pochi compiti consentiti: fare la spesa, andare al lavoro, uscire col cane, gettare la spazzatura.
Così a una trasformazione antropologica vuol corrispondere la mia postproduzione che trasforma le figure umane in sole ombre (separando ed eliminando dal fotogramma i corpi reali) come se fossero mere funzioni sospese in un tempo senza tempo, un’epoca senza significato. Non so come ricorderemo questi mesi quando ne saremo fuori; per ora non possiamo non sentire vicino a noi una gelida angoscia, un senso di inquietudine che non ci lascia perché il nemico è sì invisibile ma soprattutto noi occidentali non eravamo pronti per scoprirci così fragili, come persone e come società. Ci siamo ritrovati soli e assenti persino a noi stessi, di conseguenza vaghiamo appunto come ombre, in un composito quadro che vuol essere la metafora del necessario futuro ritrovarsi: è per questo che convergiamo verso un punto centrale, uno spazio oggi vuoto che sta lì come un apparente vortice ma che vuol essere invece l’indice di una speranza collettiva. Il ritrovarsi, appunto, con una soluzione efficace e, finalmente, di nuovo integri. Ombre riunite ai corpi e non più fantasmi.
(testo di Antonio Desideri)
Primavera 2020: giorni davvero stranianti, questi che stiamo vivendo, separati dalle nostre vite quotidiane e dal rapporto sociale. Ci si trova ad osservare il mondo come dietro una lastra. Per quanto dolorosa, è una metafora perfetta dello stare al di qua delle lenti fotografiche: scatto le mie immagini dalla terrazza di casa perché la visuale che offre incontra il mio stato d’animo, quello della sospensione. Le poche persone che vedo passare mi sembrano quasi degli automi, obbligati a svolgere i pochi compiti consentiti: fare la spesa, andare al lavoro, uscire col cane, gettare la spazzatura.
Così a una trasformazione antropologica vuol corrispondere la mia postproduzione che trasforma le figure umane in sole ombre (separando ed eliminando dal fotogramma i corpi reali) come se fossero mere funzioni sospese in un tempo senza tempo, un’epoca senza significato. Non so come ricorderemo questi mesi quando ne saremo fuori; per ora non possiamo non sentire vicino a noi una gelida angoscia, un senso di inquietudine che non ci lascia perché il nemico è sì invisibile ma soprattutto noi occidentali non eravamo pronti per scoprirci così fragili, come persone e come società. Ci siamo ritrovati soli e assenti persino a noi stessi, di conseguenza vaghiamo appunto come ombre, in un composito quadro che vuol essere la metafora del necessario futuro ritrovarsi: è per questo che convergiamo verso un punto centrale, uno spazio oggi vuoto che sta lì come un apparente vortice ma che vuol essere invece l’indice di una speranza collettiva. Il ritrovarsi, appunto, con una soluzione efficace e, finalmente, di nuovo integri. Ombre riunite ai corpi e non più fantasmi.
(testo di Antonio Desideri)
Sul blog Finestra su Arte, Cinema e Musica, interessantissimo blog tenuto da Marisa Prete, potete leggere una bellissima riflessione sul lavoro Ombre Sospese.
https://finestresuartecinemaemusica.blogspot.com/2020/07/ombre-sospese-di-andrea-taschin.html#more
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